Ne hanno già parlato sia Nomfup che il Post, la notizia è stata ripresa anche da altri media e sul sito della Ferpi.
Il quotidiano inglese Indipendent ha pubblicato un’inchiesta su una delle più importanti società di lobbying e relazioni pubbliche, la Bell Pottinger.
In sintesi: i giornalisti si sono finti emissari di un gruppo d’interesse inglese, collegato al Governo Uzbeko nel business del cotone, ed essere stati incaricati da questo di avviare un’attività di comunicazione per rilanciarne l’immagine.
Dai colloqui registrati con i vertici della Bell Pottinger è sostanzialmente emerso che:
– la società vanta di avere un canale di accesso privilegiato con Downing Street (con tanto di nomi e cognomi) e di poterlo utilizzare a sostegno dei propri clienti;
– di poter manipolare i risultati di Google per “soffocare” quelli negativi relativi alle violazioni dei diritti umani e del lavoro minorile: questo con la creazione di finti blog indipendenti che mettano in evidenza gli aspetti positivi sul tema;
– la stessa cosa può essere fatta con Wikipedia (qui un ulteriore articolo dell’Indipendent con un dettaglio proprio su questo punto);
– di poter attivare alcuni membri del parlamento, critici nei confronti del giornalismo investigativo, per “smontare” servizi od articoli contrari agli interessi dei clienti, evidenziando piccoli errori.
Ne è uscito fuori un vespaio, ovviamente.
Che sembra spingere verso un’indagine parlamentare e su una più stretta registrazione dei rapporti tra lobbisti e membri del processo decisionale inglese.
Da una lettura di quanto pubblicato on line mi sembra che vi siano alcuni punti che meritano un approfondimento.
I vertici di Bell Pottinger hanno dimostrato di ricadere nel vecchio vizio di mettere in evidenza prima di tutto la loro capacità di accesso ai vertici del Governo inglese. Insomma nella loro presentazione sembra contare di più avere una stabile relazione, dovuta a passate frequentazioni professionali, rispetto all’analisi del reale problema del presunto cliente.
La società inglese, inoltre, con un atteggiamento eticamente discutibile, evidenzia la possibilità di influenzare il contesto online (Google e Wikipedia) con trucchi ormai conosciuti da tutti: la creazione di false “terze parti” che scrivono su di un argomento oppure il riuscire a inserire o modificare voci di Wikipedia.
Loro stessi sanno che si tratta di pratiche poco corrette, al tal punto che ne parlano solo a voce e non le inseriscono nella loro presentazione.
Quindi c’è un vero e proprio dolo.
Nella lettura ho trovato pochi elementi a favore dei lobbisti inglesi che comunque non possono modificare il giudizio sull’intera videnza.
Durante uno dei colloqui, infatti, hanno sottolineato comunque la necessità da parte del Governo Uzbeko di avviare alcune riforme “reali” sul tema dello sfruttamento dei minori e della legislazione sul lavoro.
Insomma per quanto bravi non possono nulla se non vi è un reale modifica degli atteggiamenti da parte del committente.
Così come quando, citando come caso di successo un loro intervento sul premier inglese Cameron a sostegno delle posizioni di un loro cliente (la Dyson) penalizzata da ripetute attività di pirateria commerciale in Cina, sottolineno che:
He [Cameron] was doing it because we asked him to do it and because the issue was in the wider national interest.
E meno male, verrebbe da aggiungere….
La vicenda non è conclusa. E penso che il tema di una maggiore trasparenza del rapporto tra gruppi di interesse, società di lobbying e sistema decisionale, continuerà ad essere al centro del dibattito politico e mediatico in Inghilterra ancora per molto tempo.
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