Non ho seguito molto la Convention democratica di Charlotte.
Tra i momenti che ho intercettato su internet ne segnalo alcuni, da brividi.
1) Il Pledge of Allegiance di Gabrielle Gifford, l’ex membro del Congresso ferita in un’attentato a gennaio 2011.
2) l’intervento di Debby Wasserman Shultz, che spiega meglio di altri l’importanza della riforma sanitaria voluta da Obama. E che personalizza il significato di queste elezioni.
3) e infine lui, l’intramontabile Bill Clinton. Dimagrito, in forma smagliante, ha pronunciato un discorso di altissimo livello.
Da scuola oratoria. L’incipit:
We’re here to nominate a president, and I’ve got one in mind.
[…]
I want to nominate a man cool on the outside but who burns for America on the inside.
And by the way, after last night, I want a man who had the good sense to marry Michelle Obama.
I want Barack Obama to be the next president of the United States and I proudly nominate him as the standard bearer of the Democratic Party.
Spiritoso, ironico, graffiante. Difende non solo il suo Presidente ma la politica democratica.
I valori di quel partito.
Parla per quasi 50 minuti. Un’enormità. Eppure riesce sempre a tenere alta la tensione emotiva del suo pubblico. Ne cattura l’attenzione e la “trattiene” fino alla fine. Ogni pausa ha un suo significato.
Il testo, scritto dallo stesso Clinton, è stato consegnato ai media. E subito è stato notato come quel testo in realtà sia stata solo una traccia da cui spesso discostarsi. Non c’è da stupirsi. E’ una delle regole auree del parlare in pubblico. Avere una traccia, essere preparati, ma poi lasciarsi andare.
Indipendentemente da come la si pensi, uno dei migliori discorsi di un grandissimo oratore.
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