Sporco Lobbista – Il blog di Fabio Bistoncini

Pubblicato da Fabio Bistoncini il 05/05/2019 & archiviato in In evidenza, Personale

FERPI addio

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La FERPI (Federazione delle Relazioni Pubbliche) ha iniziato il percorso per rinnovare i suoi vertici associativi.

In queste settimane abbiamo assistito ad un fiorire di candidature, disponibilità, programmi, parole d’ordine, e soprattutto buoni propositi. Accade da sempre (sono socio dal 1992 quindi di elezioni ne ho vissuta qualcuna…).

La vera novità semmai è il numero di candidati alla Presidenza (quattro!) che si stanno cimentando nell’ardua impresa di superare le forche caudine del Regolamento e presentarsi così all’Assemblea elettiva di giugno: ben 50 firme di soci attualmente iscritti e rappresentanti di tre delegazioni regionali differenti a sostegno della propria candidatura.

Ho il massimo rispetto e ammirazione per tutti coloro che si candidano a ricoprire cariche associative. Essendo stato delegato regionale, sei anni consigliere e vicepresidente per due mandati, so quanto quanto questo compito sia gravoso.

Conosco personalmente tre dei quattro candidati: professionisti di grande valore, che provengono da esperienze molto diverse tra loro.

Quindi bene, verrebbe da dire. 

Soprattutto per chi, come il sottoscritto, ritiene che il confronto (e anche lo scontro) tra diverse visioni sia un elemento di vivacità associativa rispetto invece alla calma piatta di un unico candidato eletto all’unanimità.

Ma è veramente così?

Prima nota: due dei nuovi candidati (Rosella Sobrero e Raffaele Paciello) erano membri del Consiglio direttivo; a sostegno della candidatura di Rossella Sobrero ci sono sei componenti “uscenti” dello stesso Consiglio (tra cui il Segretario Generale) e alcuni delegati regionali.

Quindi anziché parlare di rinnovamento prendiamo atto che stiamo assistendo ad una vera propria spaccatura della leadership associativa.

Nulla di grave ma mi sarei aspettato, da socio, che questa dialettica interna fosse maggiormente esplicata prima dell’avvio della fase elettorale.

Se andiamo a leggere il programma dei quattro aspiranti Presidenti (giuro che l’ho fatto!) questa differenza radicale di visioni non emerge affatto.

Non emerge perché tutte le analisi, anche quelle più approfondite, sono incentrate sui cambiamenti della professione, sul ruolo del comunicatore nella società moderna, sulle trasformazioni che ha subìto il campo mediatico e conseguentemente anche la nostra attività quotidiana. Considerazioni importanti, certamente, ma che a mio avviso non centrano il focus: la riflessione su possibili nuovi modelli rappresentanza.

La FERPI non è morta ma “vivacchia”. Da anni. Ed in questi anni ci “siamo giocati” ai vertici associativi il meglio della comunicazione aziendale del nostro Paese. 

In tempi in cui il mondo corre veloce vivacchiare non basta. 

1) I soci non crescono. Purtroppo un dato costante. Solo 850 professionisti delle RP sono iscritti all’associazione. Una goccia nel mare magno della comunicazione che rende la FERPI incapace di essere realmente rappresentativa.

2) Le risorse sono esigue. Gli asset su cui puntare (e lo hanno fatto quasi tutti i Presidenti) sono l’Oscar di Bilancio, la sponsorizzazione di alcuni eventi e (più di recente) la vendita di spazi pubblicitari sul sito. Altre ipotesi mi sembrano fantasiose e fuori luogo.

3) Una governance farraginosa che con il passare degli anni è diventata un vero e proprio “poltronificio”. Oppure, in termini più accademici:  una governance che privilegia la leadership alla membership.

Giusto qualche numero sulla situazione attuale:

– 1 consiglio direttivo composto da 15 membri

– 4 deleghe a soci extra consiglio.

– 2 Commissioni (quella di Ammissione e quella dell’Aggiornamento Professionale): altri 16 membri

– 1 collegio dei Probiviri (5 membri +  3 supplenti)

A cui si aggiungono 30 soci Delegati o membri dei Comitati territoriali.

Un totale di 73 persone. Il 9% dei soci iscritti. E qualcuno mancherà all’appello.

Tantini direi.

Il bello è che in alcuni programmi si vagheggia o la costituzione di nuovi tavoli (o gruppi) di lavoro o la moltiplicazione di ruoli e competenze (es: al Consiglio Direttivo partecipano anche i Delegati Regionali), aumentando così il rumore di fondo, impedendo l’individuazione delle singole responsabilità: negando, di fatto, l’accountability della leadership associativa. Che dovrebbe invece essere il “mantra” di qualsiasi organizzazione di rappresentanza: permettere nel corso del mandato di essere “verificati” suo risultati ottenuti o sui motivi che hanno impedito il raggiungimento di determinati obiettivi.

Manca una riflessione seria su chi siano oggi i soci FERPI dal punto di vista qualitativo e del loro apprezzamento sul mercato (aziendale e consulenziale): la convinzione che ho (dall’ascolto degli interventi agli eventi a cui ho partecipato e dalla lettura dei contenuti del sito) è che il livello sia molto, molto, molto molto basso.

Invece di ascoltare il “mercato” la ricetta proposta più o meno da tutti è l’ascolto dei soci…

Nessuno si è preso l’onere di riflettere sul tema dirimente: come affrontare la crisi di rappresentanza che sta vivendo non solo la FERPI ma TUTTE le altre associazioni, comprese quelle collegate alla professione.

 Con cui invece si vagheggiano alleanze: come se dall’unione di più debolezze possa nascere una forza. Non è mai stato così e non sarà così neanche questa volta.

E’ la crisi del nostro tempo, la crisi dei corpi sociali intermedi.

A cui si risponde rivoluzionando l’approccio e, soprattutto, il modello organizzativo.

Veloce, agile e a rete.

Poche cariche, meno deleghe, pochi obiettivi qualificati e qualificanti.

Che si discutono, si individuano, si rinnovano almeno ogni anno. E su cui si concentrano TUTTE le risorse e le capacità dell’organizzazione. 

Presiedere tutti i tavoli o tutte le “issue” è già molto difficile per strutture molto più solide della nostra. Figurarsi per la FERPI che non può permettersi una leadership a “tempo pieno” nel senso che coloro che ricoprono cariche associative svolgono contemporaneamente un’attività professionale.

Meglio concentrarsi su poche cose da sviluppare attraverso campagne e advocacy.

Ma applicare questo metodo di lavoro significa modificare il modello organizzativo, ridurre le cariche e le deleghe a disposizione di qualsiasi candidato per aggregare il consenso, significa fissare confini chiari e definiti all’autonomia delle delegazioni regionali e dei loro rappresentanti, diventati ormai in molti casi dei piccoli satrapi.

Significa in sostanza uscire dall’autoreferenzialità e confrontarsi con il mondo esterno, quello reale.

Misure poco popolari dunque. Ma soprattutto molto lontane dal sentire associativo.

Se tutto andrà bene alla prossima assemblea voteranno 200 soci (comprese le deleghe).

Per eleggere, in momenti successivi, circa 70/80 cariche associative.

In pratica un’autoelezione…

Che fare, dunque?

Uscire, semplicemente.

Perché non credo più nella capacità rappresentativa della FERPI

Il prossimo Presidente, chiunque sia, non fermerà questa involuzione. 

Lo dimostrano i documenti programmatici: o ridicoli nella loro modestia o che si arrovellano su temi e priorità molto lontani dalla mia agenda professionale. 

Lo dimostra la pochezza del dibattito associativo che ormai ha assunto livelli imbarazzanti.

Lo dimostrano le modalità con cui alcuni soci stanno conducendo la campagna elettorale: colpi bassi, fake news, cambi di casacca dell’ultimo minuto, organizzazione di truppe cammellate da portare come un gregge alla prossima assemblea elettiva.

Dopo 27 anni possiamo dire il nostro bilancio è in pareggio: alla FERPI abbiamo dato e ricevuto tanto.

Soprattutto per quanto riguarda i rapporti umani. Ma quelli, se “veri” continueranno indipendentemente dalla tessera associativa.

Basta così.

 

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