Sporco Lobbista – Il blog di Fabio Bistoncini

Pubblicato da Fabio Bistoncini il 05/09/2013 & archiviato in In evidenza, Lobbying, Politica

Petizioni come strumento di advocacy

Tra le migliaia che circolano in ogni paese, questa è particolarmente interessante.

Il governo inglese sta, da tempo, organizando il ritiro delle proprie truppe dall’Afghanistan.

Tra i tanti aspetti collegati a questa operazione, ha preparato anche “un pacchetto” di misure per i cittadini di quel paese che hanno aiutato le truppe anglosassoni come interpreti.

Che consistono o nel finanziamento, per 5 anni, di un’attività di formazione, o in una somma di denaro equivalente al salario di 18 mesi.

Oppure, ma solo per coloro che hanno prestato la propria opera in condizioni particolarmente difficili, l’asilo nel Regno Unito.

Misure che, secondo alcuni, sarebbero del tutto insuficienti. Tendendo conto dei rischi che hanno corso queste persone e, soprattutto, delle possibili rappresaglie che potranno subire da parte dei talebani, quando l’ombrello protettivo delle forze occidentali verrà meno.

Proprio per questo il pronipote di Sir Winston Churchill, Alexander Perkins, ex ufficiale delle Guardie scozzesi e reduce dall’Afghanistan, ha creato un gruppo d’interesse per sviluppare una vera e propria campagna di advocacy sull’argomento.

Campagna culminata, come spesso accade in questi casi, con la consegna, a metà agosto, al premier inglese David Cameron, di 60.000 firme a sostegno di una petizione che sostazialmente chiede di offrire a tutti i cittadini afgani, che hanno svolto negli anni la funzione di interpreti dell’esercito britannico, il diritto di asilo.

Il link della petizione su change.org è questo.

Il testo, dal punto di vista comunicativo, è molto efficace.

C’è ovviamente un riferiferimento a come si sarebbe comportato l’illustre bisnonno:

My great-grandfather Winston Churchill, who spent a large part of his career in the army, would have been shocked by the way our government is treating men who risked their lives to help British forces.

C’è la storia, drammatica, della famiglia di uno degli interpreti, Barri, con cui ha collaborato; il padre e il fratello uccisi dai talebani, la madre e la sorella costrette a lasciare il Paese e, successivamente, morte nel mediterraneo nell’affondamento del barcone a bordo del quale stavano cercando di raggiungere l’Europa occidentale. Tutto questo senza alcun aiuto da parte del Governo Britannico.

A tal punto che lo stesso Barri, con l’ultimo fratello, ha dovuto trascorrere due anni in un centro di detenzione in Germania prima di ottenere l’asilo.

E, aggiunge Perkins:

Other interpreters are not even as lucky. They have been forced into hiding in Afghanistan or are locked in foreign detention centres, their lives in limbo.

Un tema drammatico, non facile da risolvere.

Soprattuto in un periodo storico in cui le c.d. “missioni di pace” sembrano destinate a continuare…

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