Due giorni fa, come molti, ho letto l’intervista del Vice Ministro degli Esteri, Lapo Pistelli, in cui annunciava la decisione di abbandonare la politica e di iniziare una nuova vita manageriale assumendo la carica di Vice Presidente Senior di Eni con il compito di promuovere il business internazionale e di tenere i rapporti con gli stakeholders in Africa e Medio Oriente – e dei progetti sulla sostenibilità.
Quando un politico “lascia” è sempre una notizia, soprattutto quando quel politico è accreditato di responsabilità e competenza nello svolgere i compiti istituzionali che è chiamato a svolgere.
La sfida è affascinante. Anche perché l’ENI è veramente una delle poche aziende italiane a vocazione internazionale, con una presenza in oltre 80 Paesi. Compete su un mercato globale come quello dell’energia, in continua evoluzione, suscettibile poi di modifiche e stravolgimenti a causa di complesse variabile geopolitiche.
Mentre leggevo quindi da un lato comprendevo benissimo la scelta. Dall’altro c’era qualcosa che mi lasciava perplesso.
L’ENI è un’azienda privata ma partecipata dallo Stato, lo stesso Pistelli, profondo conoscitore della politica americana, citava la pratica delle revolving doors (il passaggio da incarichi pubblici a privati e viceversa) come un esempio virtuoso di fertilizzazione tra competenze.
Poi ho intercettato questo tweet di Gianluca Di Tommaso (@gditom), altro attento osservatore di quello che accade oltre oceano e non solo:
I miei dubbi sono aumentati…
Fino a quando ieri ho letto questa interrogazione dell’On. Giulio Marcon (SEL) in cui si sottolinea come, a suo avviso, la nomina di Pistelli sia contrasto con la c.d. Legge Frattini (2004) che prevede alcune norme in relazione all’incompatibilità (per almeno un anno) tra cariche di governo e quelle presso enti di diritto pubblico o società private.
Dall’analisi delle deleghe di Pistelli e le notizie riportate nell’intervista sembrerebbe che il caso rientri tra le incompatibilità.
L’Antitrust (Autorità competente in questo campo) ha già espresso parere favorevole all’operazione.
Ma i dubbi rimangono.
Perché è vero che le revolving doors possono essere uno strumento virtuoso ma solo se prevedono un congruo periodo di decantazione per il passaggio da incarichi di governo, politici o amministrativi a quelli aziendali.
Altrimenti il pericolo del conflitto d’interessi rimane sempre sullo sfondo.
E rischia di inficiare e far passare in secondo piano le ragioni di competenza che stanno alla base di una scelta aziendale o personale.
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