Sporco Lobbista – Il blog di Fabio Bistoncini

Pubblicato da Fabio Bistoncini il 04/01/2017 & archiviato in In evidenza, Politica

Considerazioni di inizio anno

primo_gennaio

Il 2016 si è chiuso.

Un anno difficile e particolare per il nostro Paese.

La crescita del Prodotto Interno Lordo si attesta all’1%. Un dato positivo ma ancora nettamente inferiore alle necessità e alle capacità. Insomma la ripresa c’è ma è ancora debole, non uniforme, e poco percepita. In calo anche la disoccupazione che dovrebbe segnare un 11,7%. Il dato è ancora alto ma è innegabile che qualche risultato positivo è stato raggiunto.

Eppure si nota un malcontento diffuso soprattutto nei confronti delle Istituzioni e della politica.

Da questo punto di vista il dato da cui partire è l’esito del referendum sulle riforme costituzionali, con la pesante sconfitta del Presidente del Consiglio Matteo Renzi e le sue conseguenti dimissioni.

Un turning point i cui effetti si vedranno nei prossimi mesi.

Perché ad essere stato sconfitto non è soltanto una proposta di revisione della nostra carta costituzionale. Ma una concezione della politica che si basava sostanzialmente sull’alternanza tra due schieramenti che si contendevano la guida del Paese alle elezioni.

Certo, ancora un bipolarismo all’italiana, che si fondava più sulla delegittimazione dell’avversario che sulla costruzione di un consenso, più sulle alchimie politico e geografiche per la creazione di una coalizione in grado di vincere che sull’unità coerente di visioni programmatiche capace di governare. Ma almeno questo aspetto era dato ormai per scontato. La crescita del consenso per il Movimento 5 Stelle e la lunga pausa di riflessione che si è preso Silvio Berlusconi hanno modificato gli equilibri in campo.

La sconfitta di Renzi al referendum ha fatto il resto.

E così il nuovo anno inizia con la discussione, l’ennesima, su quale legge elettorale approvare prima delle prossime elezioni politiche.

Con il fantasma del proporzionale, accompagnato dall’introduzione delle preferenze, che ritorna prepotentemente sulla scena.

Perché siamo un paese dalla memoria corta. L’implosione della c.d. Prima Repubblica venne attribuita anche alla volontà del popolo italiano che, nel referendum del 1991 (quello che prevedeva la preferenza unica), mandò al sistema politico un chiaro messaggio simbolico di cambiamento.

Il rischio dunque (opinione del tutto personale, ovviamente) è che si ritorni ad un proporzionale quasi puro a cui si aggiungono le preferenze. Per ritrovarci così un sistema politico fortemente frammentato, in cui la sera delle elezioni quasi tutti i leader di partito festeggiano la grande vittoria elettorale semplicemente per aver guadagnato lo zerovirgolaqualcosa rispetto alle elezioni precedenti per poi trovarsi l’indomani a dover costruire governi di più o meno larghe intese per poter conseguire la fiducia parlamentare. Ed in cui i partiti dovrebbero tenere conto, nelle nomine interne e governative, dei “ras” delle preferenze, quei politici in grado di aggregare consenso attorno alla propria persona.

Il risultato pratico, se ciò avvenisse, sarebbe un ulteriore indebolimento della politica a tutto vantaggio di altri soggetti: la magistratura, la burocrazia, i sindacati, Confindustria, e più in generale tutti i corpi sociali intermedi. In perfetta controtendenza rispetto al fenomeno della disintermediazione, che, sia pure con risultati non omogenei e a volte discutibili, aveva aperto delle profonde crepe nell’oligopolio della rappresentanza, che per anni aveva reso asfittico il nostro campo politico e sociale.

Il pericolo dunque è che si determino le condizioni per una politica perennemente “sotto tutela”. A tutti i livelli. E cioè che, ad esempio, un Sindaco chieda sempre e comunque un parere all’Autorità Anti Corruzione prima di procedere ad una nomina di un vertice apicale della propria amministrazione o che faccia valutare a qualche magistrato gli atti propedeutici ad una delibera importante. Ma la stessa cosa può valere per le Regioni o per il Governo.

Insomma il 2017 non si apre nel migliore dei modi.

Indipendentemente se diventerà un anno elettorale oppure no.

Perché anche su questo punto non c’è chiarezza.

Matteo Renzi, da segretario del PD, ha sulla carta i numeri per “staccare” la spina al Governo quando vuole.

Sulla carta però. Perché anche all’interno del suo Partito ci sono pressioni (e forti) affinchè si arrivi alla scadenza naturale della legislatura (2018).

A Berlusconi, preso dalla scalata Mediaset, non interessa accelerare.

Ma neanche al Movimento 5 Stelle, che a Roma deve gestire il problema della Giunta Raggi e che a livello nazionale deve riorganizzare i propri assetti interni.

Ma che, finita la pausa natalizia, può riprendere ad urlare a gran voce la necessità di un immediato ricorso alle urne. Sapendo benissimo che più dura questa legislatura più il tempo gioca a proprio favore.

I primi mesi di quest’anno saranno molto molto interessanti.

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