Premessa doverosa: non sono un appassionato di tennis, a parte qualche “sbandamento” giovanile.
Gli anni delle sfide epiche tra Borg e Connors o della Coppa Davis in cui con Panatta, Barazzutti e Bertolucci avevamo molto da dire.
Un’era geologica fa, dunque.
In più non leggo quasi mai biografie di personaggi NON politici.
In più, per quel poco che lo conoscevo, Agassi mi era stato sempre cordialmente antipatico. Me lo ricordavo vestito con colori improbabili, capellone, con un’arroganza tipica yankee per me fastidiosa. Avevo seguito da lontano le polemiche per le sue partecipazioni a Wimbledon dove, all’epoca, esisteva un “dress code” molto rigoroso: i partecipanti erano tenuti ad indossare completi da tennis totalmente bianchi. E lui che invece si presentava vestito come una maschera di carnevale.
Per tutti questi motivi, quando in queste vacanze ho visto mia moglie letteralmente “divorare” le quasi 500 pagine del libro sono rimasto del tutto indifferente. Poi, a forza di insistere (“è un libro bellissimo , se lo inizi non smetti più”), un giorno ho cominciato a sfogliarlo.
Già la quarta di copertina ti invoglia a leggerlo. Un tennista che scrive:
Odio il tennis, lo odio con tutto il cuore, eppure continuo a giocare, continuo a palleggiare tutta la mattina, tutto il pomeriggio, perché non ho scelta. Per quanto voglia fermarmi non ci riesco. Continuo a implorarmi di smettere e continuo a giocare, e questo divario, questo conflitto, tra ciò che voglio e ciò che effettivamente faccio mi appare l’essenza della mia vita…
non può lasciarti indifferente.
Il libro è veramente molto. Soltanto dopo averlo letto ho scoperto che ha avuto recensioni lusinghiere ed inserito da Baricco tra i migliori 50 libri degli ultimi dieci anni.
E’ la vita del più grande tennista americano raccontata in prima persona.
Raccolta dal giornalista J.R. Moehringer (premio Pulitzer, mica pizza e fichi).
Vittorie, sconfitte, up and down.
Senza ipocrisie e senza sconti.
In molte recensioni vengono citate le prime pagine effettivamente molto belle in cui Agassi racconta il suo problematico risveglio (è “vecchio”, dolorante, con la schiena a pezzi) prima del suo ultimo incontro, quello che segnerà il ritiro.
A me sono piaciute molto anche le ultime, quelle in cui racconta di una partita a tennis, ormai dopo il ritiro, con sua moglie Steffi Graf (anche lei leggenda del tennis).
E’ un pomeriggio piovoso, in un campetto alla periferia di Las Vegas. Hanno poco tempo perchè poi devono andare a prendere il figlio a scuola.
E si mettono a giocare a tennis come due ragazzini. Il tempo passa, nel frattempo si raduna del pubblico evidentemente richiamato da qualcuno che ha notato l’eccezionalità dell’evento: due tra i più grandi tennisti del mondo (diventati marito e moglie) che palleggiano in un campo pubblico.
Piove più forte. Ma non smettiamo. Ci diamo dentro. Adesso quelli che arrivano hanno delle macchine fotografiche. Si accendono dei flash. Sembrano insolitamente luminosi, riflessi e ingigantiti dalle gocce di pioggia. A me non importa e Stefanie non ci fa caso. Non siamo pienamente coscienti di niente se non della palla, della rete e di noi due.
[…]
Servo, lei risponde, poi fa quel gesto tutto suo, come se scacciasse una zanzara, per dire che ha finito. E’ ora di andare a prendere Jade.
Esce dal campo.
Non ancora, le dico.
Che? Si ferma, mi guarda. Poi si mette a ridere.
D’accordo, dice, tornando alla riga di fondo. Non ha senso ma è quello che sono e lei capisce. Abbiamo delle cose da fare, cose meravigliose. Lei non vede l’ora di cominciare e così io.
Eppure è più forte di me.
Voglio giocare soltanto un po’.
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