Il massacro compiuto nella scuola della cittadina del Connecticut ha riacceso, negli Stati Uniti, il dibattito della necessità di un controllo più stretto sulle armi da fuoco.
Certamente quanto accaduto a Newtown può rappresentare uno spartiacque, perché è solo l’ultimo episodio di una lunga serie e perchè coinvolge dei bambini, colpendo dritto il “cuore” anche emotivo della nazione.
In queste ore i media hanno ospitato numerosi interventi di esponenti del Congresso, tutti favorevoli ad inserire nell’agenda politica delle prossime settimane nuovi provvedimenti normativi. Al contrario i sostenitori ad oltranza del diritto di possedere un’arma, per il momento, non prendono esplicitamente posizione.
Il rischio però, soprattutto da parte di alcuni dei giornalisti italiani che ci descrivono la politica americana, è l’eccessiva semplificazione.
Lo spiega molto bene nel suo blog Christian Rocca (post1, post2 e qui).
Guardare all’America con le nostre lenti “culturali” non aiuta a focalizzare il problema. Anzi.
La realtà è molto più complessa di quanto possa apparire sull’onda dell’emozione.
Dedicheremo al tema, che seguiamo da anni per motivi culturali e professionali, almeno 2 post così suddivisi:
1) i dati e il dibattito pubblico (questo);
2) l’influenza dei gruppi d’interesse attivi sulla issue.
I dati e il recente dibattito pubblico.
Ci sono oltre 300 milioni di armi da fuoco in circolazione negli Stati Uniti. Un numero certamente impressionante ed in costante aumento.
Pur esistendo una serie di disposizioni federali sull’argomento, la legislazione non è omogenea e varia da Stato e Stato.
Non solo, ma il diritto a possedere un’arma da fuoco è costituzionalmente garantito dal famoso secondo emendamento. Riaffermato nel 2008 dalla Corte Suprema.
Nel 1994, l’amministrazione Clinton era riuscita a fare approvare al Congresso il “Federal Assault Weapons Ban“, che vietava per dieci anni la commercializzazione di molte armi automatiche (fucili d’assalto).
Il divieto, scaduto nel 2004, non è mai stato reintrodotto.
Nonostante gli sforzi di molti esponenti “liberal”, gruppi di cittadini, organizzazioni diffuse sul territorio.
Pensare quindi che gli Stati Uniti possano dotarsi di una normativa federale che bandisca il possesso di armi da fuoco è pura illusione.
Paradossalmente in Connecticut, dove è avvenuta la strage, è in vigore una legislazione particolarmente restrittiva.
Lo stesso Obama è stato oltremodo prudente:
We’re going to have to come together and take meaningful action to prevent more tragedies like this, regardless of the politics.
Nonostante le lacrime, nulla di definito.
Ma è evidente che qualsiasi intervento riformatore ha davanti due strade:
a) scontrarsi contro il secondo emendamento, cercando di interpretarlo nel senso più restrittivo possibile. Strada difficilissima che confligge con la sensibilità della maggioranza dei cittadini americani. Proprio in questi giorni si sono sollevate alcune voci a sostegno della tesi che se il Preside, professori o il personale della scuola avessero avuto un’arma avrebbero potuto difendersi dall’assalitore…
b) varare una normativa federale che tragga spunto dalla vecchia legge del 1994. Che preveda quindi la messa al bando di alcuni tipi di arma, che estenda i controlli all’acquisto, che stabilisca un periodo di almeno qualche giorno tra la richiesta dell’arma e la sua consegna, che imponga delle regole ben precise per la loro detenzione o il trasporto.
Tutte norme che a noi sembrano quasi scontate e di buon senso. Anzi forse ancora troppo permissive.
Ma noi non siamo l’America.
La issue “controllo delle armi” è una delle costanti del contesto politico americano. La sua salienza varia a seconda degli anni, delle sensibilità, del colore politico dell’amministrazione, della pervasività dei vari gruppi d’interesse che si confrontano.
Vedremo cosa succederà e soprattutto vedremo se Newtown rappresenterà un punto di svolta o meno.
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