Le scene di violenza di oggi a Roma (ma meno gravi ce ne sono state anche in diverse città nei scorsi giorni) sono semplicemente inaccettabili.
Eppure, questa volta, la lobby dei tassisti, qualche ragione ce l’aveva pure.
Mi spiego meglio cercando di mettere ordine ad un puzzle normativo che si è complicato nel corso degli anni.
Spunto della protesta è stata l’approvazione nel decreto legge milleproroghe (già il nome è una garanzia di confusione) di un emendamento al Senato, primo firmatario l’On. Lanzillotta (PD), che rimanda al 31 dicembre 2017 il termine entro il quale il ministero dei Trasporti deve emanare i decreti legislativi di riassetto del servizio taxi e NCC.
La normativa di riferimento è una legge del 2009, che a sua volta sospendeva per un certo periodo di tempo ben definito la normativa quadro del 1992.
Quindi nel 2017 si torna a sospendere una legge del 1992…
Non è una novità: lo stesso termine è stato prorogato ben dieci volte. Avete letto bene: 10 volte!
Non una semplice “omissione”, Un deliberato rinvio per paura di affrontare dei nodi spinosi.
La vecchia legge è antiquata, obsoleta e fortemente penalizzante per il servizio NCC. Si pensi che prevede un articolo per cui gli autisti di Ncc dovrebbero tornare alla propria autorimessa fra un servizio e l’altro.
Questo emendamento viene considerato gravissimo dai tassisti che accusano da anni gli NCC di concorrenza sleale (basta prendere un qualsiasi taxi e fare qualche domanda al conducente per sentirsi aprire una quantità innumerevoli aneddoti al riguardo).
Ma la situazione è diventata esplosiva con l’avvento delle piattaforme come UBER che hanno profondamente modificato il panorama, disintermediando il rapporto servizio / utente.
Con la APP di Uber posso trovare immediatamente il noleggio con conducente affiliato, la tariffa che viene applicata e selezionare il metodo di pagamento.
Dal loro punto di vista i tassisti hanno ragione dal momento che allargando le maglie della concorrenza vengono colpiti da un servizio che non solo sottrae loro clienti ma che in questo diminuisce di fatto il valore della loro licenza, il vero bene di cui sono proprietari.
E che, per molti, rappresenta l’unica garanzia di una pensione dignitosa.
Quindi le proteste, non le violenze, hanno il loro fondamento.
Sarebbe stato meglio se il Governo (o il Parlamento) avessero inquadrato il problema delle liberalizzazione del servizio pubblico in un’ottica di sistema.
Non oggi, ma anni fa.
Prevedendo anche delle forme di compensazione di fronte all’esigenza di aprire il mercato e, successivamente, all’avvento delle nuove tecnologie che facilitano la concorrenza permettendo a noi cittadini di poter scegliere un servizio piuttosto che un altro.
Ma i primi a sottrarsi a questo genere di confronto sono stati i tassisti (o meglio i loro rappresentanti) arroccandosi nella difesa dello status quo, mentre il mondo stava cambiando.
Compiendo così un errore strategico imperdonabile.
L’altra grande assente è la politica. Quella che dovrebbe offrire soluzioni che siano un punto di mediazione tra interessi che appaiono non concilianti.
I rimandi e le proroghe non fanno altro che incancrenire i problemi.
Ed esacerbare gli animi.
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