Le audizioni di famosi CEO sono merce abbastanza rara nel “mercato” politico americano.
Soprattutto quelle delle grandi aziende hitech.
E’ comprensibile quindi che quella di Mark Zuckerberg, fondatore e amministratore delegato di Facebook, chiamato a testimoniare questa settimana sul controverso caso di Cambridge Analytica, abbia generato un vero e proprio picco d’attenzione.
Anche perché avveniva dopo una quindicina di giorni abbastanza pesanti per Facebook, chiamata a fronteggiare un crescente coro di critiche, richieste di maggiori informazioni, minacce d’intervento legislativo, tutte provenienti dal mondo politico ed istituzionale.
Troppe per poter essere gestite soltanto attraverso la comunicazione aziendale.
E così, abbandonato l’abbigliamento nerd (jeans, t-shirt e ciabatte) il giovane Zuckerberg ha indossato un bel completo scuro, l’immancabile camicia bianca ed una seriosa cravatta tinta unita ed è volato a Washington per sottoporsi a un vero e proprio tour de force di tre giorni.
Il primo incentrato su incontri one to one, anticipando alcuni dei temi che avrebbe trattato nei giorni successivi.
Il secondo e il terzo dedicati alle due audizioni “fiume”:
5 ore davanti alla Commissione per l’energia e il commercio del Senato;
altrettante il giorno dopo davanti all’omologa commissione della Camera dei Rappresentanti.
Il tutto di fronte a decine e decine di giornalisti ed in diretta televisiva trasmessa dai più importanti network americani.
I commentatori politici che le hanno seguite sono abbastanza unanimi.
Come spesso accade in questo genere di occasioni il dibattito non è stato particolarmente effervescente.
Ovviamente il tema della privacy e delle modalità con cui l’azienda gestisce i dati dei propri utenti è stato l’argomento principale, attorno al quale si sono focalizzati la maggior parte degli interventi.
In questo frangente (ma non solo) molti membri del Senato hanno dimostrato, con loro domande e durante il dibattito, una superficiale se non scarsa conoscenza di Facebook e dei social network.
Spesso si è rimasti sul vago e la strategia difensiva di Zuckerberg ha funzionato molto bene. Apprezzabile inoltre il self control dimostrato nel cercare di rispondere, senza offendere gli interlocutori, a domande veramente banali o talmente fumose da essere poco comprensibili.
Di diverso tenore l’audizione alla Camera dei Rappresentanti dove il dibattito è stato più “pepato”: domande più stingenti, cattive, interruzioni, richieste di ulteriori spiegazioni. Qui è apparso meno sicuro, a volte costretto sulla difensiva, disponibile ad aperture su una possibile futura regolamentazione del tema.
Nel complesso Zuckerberg ha superato l’esame, un vero e proprio rito di passaggio di ogni grande CEO. L’azienda da lui fondata e diretta è ormai troppo grande, importante, pervasiva per non essere presente nell’arena di policy.
Al riguardo il lavoro svolto dal team di lobbisti e di legali nei giorni immediatamente precedenti ha prodotto i suoi frutti. Un lavoro certosino ed accurato, fatto di predisposizione di una moltitudine di domane (dalle più banali a quelle più cattive), l’elaborazione delle conseguenti risposte. Il tutto accompagnato dalla simulazione delle audizioni con svariati consulenti nel ruolo dei membri del Congresso.
Archiviato questo passaggio resta da chiedersi: what’s next?
In questo caso i commentatori sono abbastanza discordi. Alcuni ipotizzano l’avvio di una fase regolatoria prendendo esempio dalla nuova normativa europea sulla privacy. Non a caso citata durante le audizioni.
Secondo altri invece tutto rimarrà più o meno come prima, con l’azienda che predisporrà nuove linee guida interne per la gestione dei dati dei propri utenti ma senza un intervento legislativo che la obblighi a farlo.
Resta da verificare l’atteggiamento degli altri giganti hitech: ad esempio Apple che si è subito posizionata affermando che la privacy sia considerata e quindi tutelata come un diritto universale.
Ultima considerazione. Se ancora ce ne fosse stato bisogno questi tre giorni hanno mostrato la distanza e il rapporto complicato tra due mondi: quello dell’innovazione (giovane, posizionato nella Silicon Valley, che corre veloce) e quello della politica (più vecchio, collocato a Washington, che lavora con ritmi più lenti).
Ma questo non è certamente una novità.
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